Le cover-girl di Tsahal, Israele in guerra di look.
Le soldatesse si fanno testimonial sulle riviste patinate.
Belle, toste e patriottiche. Perché Yarden e le altre sono in realtà le testimonial di una campagna promossa dal ministero degli Esteri israeliano per cancellare l’icona radicata del Paese con l’elmetto, sinonimo di guerra permanente, armi sofisticate, servizio militare obbligatorio per tutti, uomini e donne, tre anni di vita consegnati allo Stato.
Che ultimamente Israele necessiti un’operazione di «re-branding», un cambio di look, è opinione diffusa. Il pubblicitario Simon Anhol, padre del Nation Brand Index, l’indice dei migliori Paesi in cui vivere, lo colloca all’ultimo posto della classifica dominata dalla Gran Bretagna, perché «troppo identificato con il brand del conflitto». Alcuni mesi fa il ministro degli Esteri Tzipi Livni ha convocato i diplomatici e i migliori specialisti di PR sul mercato per pianificare una strategia mediatica a tappeto che sganciasse l’idea che si ha del Paese dalla questione palestinese, ammettendo che «c’è un problema d’immagine enorme».
Come spiegare che dietro la rigorosa divisa verde di Tsahal si nasconde un’anima? L’idea delle modelle-soldato è venuta alcuni mesi fa al Consolato israeliano di New York, dopo l’ennesimo rapporto negativo sulla percezione d’Israele nel mondo, una nazione che oggi neppure gli amici americani si sentono di definire «rilassante». Finchè la critica arriva dall’amata-odiata Europa d’accordo, si può replicare per esempio che il sondaggio secondo cui Israele sarebbe più minaccioso dell’Iran e della Corea del Nord pubblicato nel 2003 a Bruxelles è il prodotto d’un astio antico, addirittura antisemita. Finchè a puntare l’indice è una coscienza inquieta come quella dell’ex presidente della Knesset Avraham Burg, che un paio di settimane fa ha accusato il suo Paese d’essere «militarista e morto dentro», c’è la possibilità d’invocare il lavaggio dei panni sporchi in famiglia, perché sempre di famiglia si tratta. Ma se gli Stati Uniti cominciano a vedere Israele come «una terra di conflitti insolubili, gente testarda e belle ragazze», il discorso cambia.
«Dovevamo immaginare una campagna che comunicasse l’altra faccia d’Israele», ha detto il console generale di New York Ariyeh Mekel. E si è rivolto a Maxim.
Funzionerà? Mohammad Abu Awwad, producer palestinese di Ramallah che lavora da anni con i media stranieri, è scettico: «Non convinceranno nessuno che sono diventati anime belle come i corpi delle ragazze». Ma sul piano comunicativo, ammette, «hanno segnato un punto». Perché anche nella terra del fuoco incrociato il vero fascino della divisa militare è simbolico, protagonista epico di storie e leggende come questa, raccontata da Mohammad: «Quando Gaza non era la prigione che ora è diventata, molte prostitute di Ashkelon andavano a lavorare lì. Un giorno i clienti palestinesi dissero loro che se avessero indossato l’uniforme dell'esercito israeliano le avrebbero pagate il doppio pur di aver la soddisfazione... E quelle, finchè fu possibile, guadagnarono un mucchio di soldi».
Israeli Defense Forces
They’re drop-dead gorgeous and can take apart an Uzi in seconds. Are the women of the Israeli Defense Forces the world’s sexiest soldiers?
Gal Gadot
Expertise: Physical fitness
“I taught gymnastics and calisthenics,” says this flawless former Miss Israel. “The soldiers loved me because I made them fit.”
Yarden HarelExpertise: Military intelligence
Stationed in northern Israel for her two-year IDF stint, Yarden says target practice was her favorite activity. “I loved shooting the M-16,” she says. “And I was good at hitting the targets. But I haven’t shot anything since I left the army.” Or anyone, we hope.
Expertise: Military intelligence
Natalie Niv
Expertise: Naval Telecommunications
This beguiling blonde clearly remembers her favorite part of serving her country: “I met my husband. His commander kept trying to set us up.” Lucky for him, Natalie followed orders.
Israeli female legislators are up in arms over their photo shoot. Who knew being in Maxim could cause such a controversy?
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Ogni tanto quando parlo bene di qualcosa di Israele, sento comunisti dire "sì, bisognerebbe farci le saponette"... Un rigurgito nazista, una volta c'era Hitler, oggi ci sono i comunisti, che odiano Israele. In mia opinione, anch'io userei le saponette, sì, per fare la doccia con le bellissime ragazze israeliane... Mi piacerebbe vedere un comunista di fronte a un pezzo di gnocca israeliana, se cambia opinione... Ma siccome vivono di sogni e irrealtà, hanno tutto quelle idee sugli israeliani senza avere avuto mai il piacere di conoscerne uno.