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Facebook ti cancella l'account ma tiene la mafia

La cosa allucinante di Facebook è che spesso cancellino i profili delle persone, tutto per motivi (assenti) assurdi ("problemi tecnici", "troppi contatti", stronzate varie), e lasciano invece on-line gruppi pro-mafia, pro-uccidere Berlusconi, ecc. Cancellando un account, cancellano centinaia di contatti, messaggi, foto, ricordi, commenti, gruppi, di tutto di una persona che non ha fatto del male a nessuno... con le scuse più assurde che invia una specie di robot anni '80 con risposte automatiche (quando va bene, sennò manco rispondono), con un atteggiamento hitleriano, "this decision is final", senza nessuna possibilità di dialogo o replica... E ti prendono pure per il culo dicendo "Thanks for your understanding"... No no, non understando proprio, sarò ignorante eh! Understando solo che non understandate proprio un cazzo. E' ora di finirla, c'è qualche persona umana dietro a Facebook??!!

articolo del mese scorso, contro Facebook:

COME SI VIVE BENE SENZA FACEBOOK
manifesto per i pochi che resistono

Tanto per capirci, un annetto fa a tener banco era «Second Life», il mondo virtuale dove condurre una seconda esistenza ovviamente virtuale anch'essa (l'alter ego era chiamato avatar). E in «Second Life» bisognava «entrarci», pena il passare da vecchio, provinciale e anche un po' fascista. Ci entrò, ad esempio,Massimo D'Alema anticipando le fregole internettiane di Walter Veltroni. Ci entrarono banchieri e intellettuali, giornalisti, attori, nani, ballerine e l'intero salottume radical chic. Insomma, ci entrò buona parte della società civile, e tutti a parlare del proprio avatar e degli avatar altrui, a magnificare la sublime esperienza di «Second Life» senza la quale la vita, quella reale, non era vita. Poi la sbronza passò, il popolo di «Second Life» si rese finalmente conto di quant'era fesso e anche mortalmente noioso giocare agli avatar e la piantò lì. Bene, ora tocca a «Facebook». E ci troviamo giusto nel momento in cui più alta è la febbre. Di D'Alema avete letto. Assicura che non ne può fare a meno, che «Facebook» è la soluzione a tutti i problemi: pace, fame nel mondo, giustizia sociale, effetto serra e vittoria alle elezioni (la leggenda metropolitan-veltroniana vuole che Obama abbia conquistato la Casa Bianca via internet. Balle. Caso mai a rastrellar soldi - 730 milioni di dollari - gli è servito Internet, perché non c'è mezzo o sistema che lo sappia fare così bene. Per dire, grazie ai facebooker, ai Veltroni, l'inventore di «Facebook», Marc Zuckerberg, tira su oltre un milioncino di dollari la settimana). Come non bastasse, ci si è messo anche quel sant'uomo del Cardinal Crescenzio Sepe: dichiarandosi entusiasta di «Facebook» e della sua capacità di «dare un messaggio di vicinanza», ma dimmi tu, ha dato alla faccenda quel tocco spirituale che mancava. Questo per volare alto. Per volare un po' più in basso, non c'è, fra la gente che conta, chi non ammetta orgogliosamente di appartenere alla vastissima tribù dei facebooker e dunque di stringere una via l'altra friendship fra gli appartenenti alla community. Idem fra la gente che non conta e che a smanettare «Facebook» ci passa le giornate, come ben sanno le amministrazioni pubbliche, le quali meditano di oscurarlo negli uffici perché gli impiegati ci s'incollano per ore, roba che Brunetta dovrebbe dare un'occhiata. Nell'insieme, si fa a gara per elogiare le sublimi virtù del social network, a gara per avere quanti più friends (Veltroni: mille e 327. Scarso. C'è chi ne ostenta 20mila), a gara per rivendicare una anzianità di facebooker. Insomma, non se ne può più. E monta tra le persone ammodo un sentimento di ribellione, la voglia di scendere in piazza, anche, per chiedere la testa di «Facebook». È evidente, chiaro come il sole, che quella dei facebooker è una mattana. Internet pullula di altri strumenti del genere, atti a «chattare», cioè a spettegolare. Senza dire che ogni italiano possiede in media un telefonino virgola otto con cui manda qualche migliaio di «messaggini» al mese. Se dunque si fosse fatto impellente il desiderio di dare un messaggio di vicinanza, per dirla col Cardinal Crescenzio o di stringere friendship, per dirla con Veltroni, non mancavano certo i mezzi per procedere. E invece sembrava che l'umanità fosse misantropa, ben decisa a non fraternizzare col prossimo fino a quando non è apparso, oh stupore, oh meraviglia, «Facebook». Ma si può? E passi se i facebooker - «dei guardoni impenitenti, narcisisti e che tendono a idealizzarsi, a mostrarsi per quello che non sono», secondo uno studio dell'Università della California - si dedicassero al loro onanistico trastullo nel riserbo e nella solitudine. No, devono accorarci raccontando le loro emozioni, i loro batticuori e turbamenti on line, guardandoci come si guarda un poveraccio, un mentecatto, se vengono a sapere - con raccapriccio - che magari non «siamo» in «Facebook». Bene, se ne facciano una ragione: la parte sana della nazione non ci sarà mai, facendosene, oltre tutto, un motivo d'orgoglio. Perché non ci son santi (e
mi scusi il Cardinal Crescenzio): si campa benissimo, anzi, meglio, anche senza essere facebooker. E il mondo va avanti, checché ne dica Veltroni (che poi ne azzeccasse mai una), anche senza quella bischerata di «Facebook».
Paolo Granzotto www.ilgiornale.it